Mauro Avogadro in IVAN IL’IČ – Torino

Teatro Baretti  – Torino 1-2- 3 aprile 2015
Associazione Baretti/Associazione Isola

 

Mauro Avogadro in IVAN IL’IČ  Icona Info Icona Info

Traduzione e adattamento Ola Cavagna
Con Nicola Bortolotti
Regia di Ola Cavagna
Impianto scenico e visioni Ginevra Napoleoni e Massimiliano Siccardi
Costumi Ivan Bicego Varengo
Luci Alberto Giolitti
Musiche a cura di Tommaso Ziliani
Direzione tecnica Alberto Giolitti – Riccardo Livermore

 

Ph: Massimiliano Siccardi

 

maggio 2015

QUESTO MESE IDEE 

Ivan Ili’c e il naufragio dell’ego

Questa primavera vede rinnovarsi un passato sodalizio, quello dell’Associazione Isola di Brescia con Ola Cavagna e Mauro Avogadro: l’Associazione coproduce con il Cineteatro Baretti di Torino l’Ivan Il’ič, tratto da Tolstoj.

Lo spettacolo è originale sotto diversi punti di vista; la scrittura in divenire abbraccia diverse forme drammatiche, racconto, flusso interiore, dialogo e monologo, particolare è la traduzione scenica in cui voci registrate, musiche, immagini fisse e in movimento dialogano con il recitato e accompagnano lo svelamento dei personaggi e delle loro vicende. A Mauro Avogadro l’interpretazione del giudice Ivan Il’ič, a Ola Cavagna la drammaturgia e la regia.

Mauro Avogadro condivide la scena con Nicola Bortolotti, che lo accompagna nell’ultimo viaggio, creando un’intimità speciale che ci sembra sincera, palpabile, a tratti tenera.

Ginevra Napoleoni e Massimiliano Siccardi inventano e muovono una scena in principio neutra, un foglio bianco su cui mano a mano che lo spettacolo si compie dispiegano immagini scolpite in un’immobilità incombente o in movimento articolando poesie d’immagini, visioni che evocano ricordi e ci accompagnano in un intimo altrove, che forse frequentiamo troppo poco.

Un sipario di tulle accoglie il pubblico con la proiezione della Preghiera su commissione di Pasolini. Una voce maschile e una femminile sussurrando evocano una morte appena accaduta, parlano del defunto, ma non della sua persona. Sfuma la luce, si alza il sipario. Inizia a piovere, soffia il vento, Nicola Bortolotti diviene personaggio, indossa una tela cerata da marinaio, si muove in uno spazio astratto, avvertiamo pericolo, una tempesta forse. Matura una presa di coscienza, la consapevolezza di non essere padroni del nostro destino, non siamo eroi dice. Un attore naufrago, la sua tempesta è l’angoscia di vivere, invoca Ulisse, l’anima raminga che ha fatto ritorno.

Due uomini in uno spazio sospeso, uno domanda l’altro risponde come un uomo senza nome, senza età e senza genitori, che ha abbracciato la sua esistenza come dono di Dio e della terra.

Di nuovo un uomo solo, Nicola Bortolotti racconta la morte del padre, il dolore della perdita acquista leggerezza e si trasforma in gratitudine nei confronti della vita.

Mauro Avogadro si presenta semplicemente come un uomo per vestire poi, in scena, i panni del giudice Ivan Il’ič. Il passaggio di un treno, il rumore delle rotaie ci porta in una stazione fuori del tempo in cui inizia un percorso a ritroso: il giudice si ricorda di quand’era bambino, e, in un flusso di coscienza, ripercorre tutte le tappe importanti della sua vita, fino ad arrivare all’uomo che è diventato, un giudice temuto con moglie e figli, con una certa rendita e tutte le cose a posto per essere felice. Ma un fastidio al fianco inizia a mettere in discussione ogni cosa. Mauro Avogadro al timone del suo personaggio consuma il tempo della scena e dell’esistenza del suo Ivan Il’ič alla conquista della libertà dall’egoismo, dall’idea di successo e dal possesso. Una brezza leggera, un vento metafisico sospinge i tendaggi di pizzo di una camera, anch’essa metafisica, che diventa teatro del naufragio della nostra condizione: le nostre certezze come sabbia tra le dita e i granelli troppo sottili scivolano dalle mani perché l’esistenza forse non è un accumulare, non è una scalata, ma un continuo ammorbidirsi, sciogliersi e spogliarsi, un viaggio di consapevolezza della nostra fragilità, un ritorno a quella condizione fetale che è principio e fine.

Ogni componente della compagnia si è calato in questo materiale così profondo con semplicità, umiltà e senza retorica, si sprigiona così nell’anima una profonda leggerezza, saggia e sorridente perché il viaggio di Ivan Ili’c è un viaggio che stiamo affrontando tutti. Nel cuore risuona la parola gioia e si rinnova la voglia di vivere.

Come un piatto ben cucinato, gli ingredienti sono ottimi e raffinata è la mano di Ola Cavagna che sapientemente e amorevolmente li dosa, li armonizza e li offre umilmente al pubblico, al suo ospite perché li gusti perciò che gli compete, per ciò che gli riguarda, per ciò che più gli appartiene.